martedì 8 maggio 2018

19 maggio, si riunisce l’Assemblea nazionale PD

Lì si deciderà se eleggere un nuovo segretario o convocare il congresso

Un’assemblea importante in una situazione politica nazionale difficilissima quella che riunirà il 19 maggio. L’orientamento nel PD è questo, definito nella riunione dei vertici questa mattina al Nazareno. Oltre al segretario reggente Maurizio Martina erano presenti Lorenzo Guerini, i capigruppo parlamentari Graziano Delrio e Andrea Marcucci, i ministri Andrea Orlando e Dario Franceschini, Gianni Cuperlo, Marco Minniti, Piero Fassino, Roberto Giachetti e il vicepresidente della Camera Ettore Rosato.
In occasione dell’assemblea si deciderà se eleggere un nuovo segretario o la conferma di Martina oppure convocare il congresso (molto dipenderà da cosa si deciderà nei prossimi giorni, se ci saranno nuove elezioni o un governo neutrale fino a dicembre).
In caso di voto a luglio, l’assemblea nazionale PD segnerà sostanzialmente l’avvio della nuova campagna elettorale, mentre se le elezioni dovessero svolgersi in autunno l’ipotesi è quella di anticipare il congresso.
Per quanto riguarda il segretario, “in assemblea decideremo” ha detto questa mattina Maurizio Martina a Radio Capital: “Non è un tema personale – ha aggiunto il reggente – C’è da fare un grande lavoro di squadra. C’è da fare un percorso insieme. Decideremo in assemblea chi farà il segretario”.

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Il commento di Mario Lavia, su "Democratica"

E adesso il PD si deve mettere in modalità elezioni, anche se nessuno giura che davvero si voterà sotto l’ombrellone (“A noi in un certo senso converrebbe pure, perché sarebbe più facile additare l’irresponsabilità dei Cinque stelle e della Lega”, ci ha detto uno dei massimi dirigenti). Ma anche al Nazareno c’è un’aria inevitabilmente un po’ sospesa. Il PD aspetta di capire cosa succederà dopo gli ennesimi inconcludenti battibecchi nella destra e gli sgarbati no a Mattarella. Si tratta in ogni caso di tenersi pronti. Di ricostruire un filo politico in grado di unire le forze, rasserenare il clima, impostare il ragionamento per la fase che si apre.
La posizione è nota e non si cambia: pieno sostegno alle scelte di Sergio Mattarella. Sono gli altri che si stanno sottraendo. Sono grillini e destra che fra un litigio e l’altro rischiano di mandare il Paese alle urne senza che la legislatura abbia emesso un respiro. Stanno cercando di riaprire l’ennesimo forno? Non sta al PD “tifare” per un governo politico M5s-Lega o la morte della legislatura. Non è più questo il punto. Il tema è chiamare gli italiani a mobilitarsi contro questo andazzo imposto dai cosiddetti “vincitori” del 4 marzo.
In mattinata al Nazareno si è tenuta una riunione con Maurizio Martina, Lorenzo Guerini, i capigruppo Graziano Delrio e Andrea Marcucci, i ministri Andrea Orlando e Dario Franceschini, Gianni Cuperlo, Marco Minniti, Piero Fassino, Roberto Giachetti e il vicepresidente della Camera Ettore Rosato: tutte le componenti, come si vede. La decisione è stata quella di convocare l’Assemblea nazionale per il 19 maggio.
In quella sede si assumerà una decisione sulla base della data delle elezioni. È chiaro che se si dovesse votare a luglio l’Assemblea diverrebbe nei fatti il lancio della campagna elettorale, gestendo il partito in modo collegiale, come peraltro già sta avvenendo, con Martina che si candida a succedere a se stesso come segretario.
Se invece le urne dovessero slittare in autunno l’Assemblea eleggerà sicuramente un segretario e contestualmente fisserà la data o quantomeno il periodo del congresso. Con primarie – poniamo – a settembre verrebbe sciolto nel modo più classico, con i gazebo appunto, il nodo della leadership. Che non è affatto detto debba combaciare con il candidato alla premiership, giacché in un sistema proporzionale la famosa coincidenza di segretario e candidato a palazzo Chigi non ha più molto senso. Siamo ancora ai ragionamenti e non alle decisioni ma da quello che pare di capire è chiaro che gli occhi di tutti – ma proprio tutti – sono puntati su Paolo Gentiloni, l’uomo che continua a godere il massimo gradimento nei sondaggi e che certamente appare come il punto di congiunzione forte fra tutte le componenti interne.
Il premier, probabilmente ormai al suo ultimo giorno in questa veste, tutto questo lo sa benissimo. Il senso del suo ragionamento, a quanto si può ricostruire, è molto semplice: seppure vincendo una riluttanza anche di carattere personale, Gentiloni dovrebbe essere convinto ad accettare un ruolo di leadership nella campagna elettorale sulla base di un impegno di totale lealtà da parte di tutti. Senza riserve mentali e infingimenti. Ma anche su questo terreno siamo veramente alle prime battute, ai primi discorsi. E però di tempo ce n’è poco, anzi, ce ne potrebbe essere pochissimo.

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