giovedì 8 marzo 2018

PD, Emilia-Romagna, prospettive post-elettorali... Due interviste al Presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini

Di seguito due interviste, una alla Gazzetta di Modena e l’altra a Repubblica Bologna


• Gazzetta di Modena (di Davide Berti)


Per la prima volta la regione non è più rossa: preoccupato in vista del 2019 per una sua riconferma?
«Ogni volta che arriva un risultato negativo, questo lo è particolarmente per il Pd, inutile che ci giriamo intorno, arriva la stessa domanda. Si ragionava così già quando si perse Bologna ben diciotto anni fa, perché poco prima si erano perdute anche Parma e Piacenza. Sembrava la fine di un'epoca poi in realtà si prese atto che non esistevano più luoghi inaccessibili. D'altra parte la destra nell'ultima elezione di Errani sfiorò addirittura il 40% seppur con Forza Italia leader della coalizione, mentre oggi lo è la Lega, peraltro per la prima volta non solo al Nord».

Ci sono però elementi di novità non trascurabili.
«La novità vera è il tripolarismo con il M5S che seppur non vince alcuno dei 26 collegi, tra Camera e Senato, è prima forza in Regione. E bisogna affrontare un rischio già visto di recente: con il tripolarismo se governi puoi essere percepito come forza di potere, dunque coloro che sono alternativi, seppur non coincidenti, nei ballottaggi si alleano contro di te. Per questo servono innanzitutto buongoverno, costruire un nuovo centrosinistra largo e aperto anche a quel civismo che vuole assumersi responsabilità di governo e non solo di protesta, aprirsi alla società e al territorio».

Quanto è cambiata l'aria dentro al Pd?

«Spero tutti nel Pd prendano atto di quello che dico da tempo, cioè che non esistono più e non esisteranno più rendite di posizione. Lo dovremmo aver visto dopo Vignola, per due volte in pochi anni, o addirittura a Novi. Se si pensa di vincere per diritto divino si perderà ancora, se non capiamo che serve tornare laddove siamo un po' spariti, dalle fabbriche alle università, dalle scuole ai luoghi dove c'è sofferenza, allora sarà dura. Il Pd deve ritrovare umiltà, uscire da recinti troppo stretti e valorizzare meglio le cose che amministrando spesso facciamo. Non sarà banale e sarà non scontato l'esito, nemmeno breve ma la ricostruzione è necessaria».

Come deve cambiare il Pd?

«Solo oggi mi hanno contattato diverse persone per chiedermi come iscriversi o tomare ad iscriversi al Pd, perché in un momento così difficile vogliono dare il loro contributo per non lasciare campo a populisti ed estremisti. Con una battuta ho detto che vorrei un Pd meno populista e più popolare! Un Pd più tra la gente e meno sui social. Ci accorgeremmo che sono molte più di quelle che pensiamo le persone disposte a dare una mano. Dall'Emilia-Romagna possono arrivare contributi di idee, di personalità, io non mi tiro certo indietro. Però guai a farsi prendere solo dalla depressione e dallo sconforto. Non ce lo si può permettere. Dico sempre che gli aquiloni si alzano in volo quando il vento è contrario. Adesso è il momento di dimostrare se si è capaci di farli volare di nuovo».

Come si ripercuote questo voto sulla Regione?

«In Regione voteremo tra circa venti mesi, non domattina. E il centrosinistra unito pur nel momento peggiore della sua storia rimane comunque davanti al centrodestra anche in Emilia-Romagna se leggete bene i numeri. Soprattutto abbiamo due dati dalla nostra rispetto al resto del Paese: qui governiamo insieme da tre anni e abbiamo condiviso le scelte con le parti sociali, non contro. Io penso che per le cose che stiamo facendo si potrebbero raccogliere risultati positivi. Ma siccome non bisogna dare nulla per scontato servirà anche a livello regionale costruire e rafforzare un campo di forza aperto alla società civile e al civismo. Dopodiché consiglio a Lega e grillini di essere prudenti a cantare già ora vittoria».

Visti i risultati di ieri, pensate di aver sbagliato qualcosa o il voto è tutto politico? Se è politico però qualcosa il Pd avrà sbagliato, giusto?

«Che sia un voto politico non c'è dubbio. Altrimenti sarebbe andata bene da altre parti. E per quanto sia stata sconfitta, solo qui e in Toscana (oltre che nel sud Tirolo) si conquistano collegi; c'è uno scarto ampio tra le tante cose fatte al governo del Paese, molte delle quali a mio avviso positive, e la ricaduta in termini di basso consenso. Bisogna discutere seriamente di questo perché non si può ora banalizzare e alzare le spalle di fronte a questi risultato, così come mettersi contro le parti sociali non ha certamente pagato».

Cosa ne pensa delle dichiarazioni di Renzi: come e con chi si ricostruirà il Pd?

«Si è dimesso, ha detto che non salirà al Colle, ha già convocato la direzione nazionale lunedì prossimo. Che altro doveva fare? Non mi interessa parlare delle dichiarazioni di Matteo, ma di cosa dobbiamo fare per ricostruire fiducia nel Pd e nel centrosinistra. Come tomare a parlare alle generazioni piè giovani che ci hanno girato le spalle. Come tornare nei luoghi di lavoro. Per farlo servirà evitare adesso i cognomi e concentrarci sui contenuti. Con una analisi seria e vera. Aprendoci e facendo un bagno di umiltà. Ma chi ci dà per finiti secondo me non ha fatto i conti con la passione che anima ancora tanti in questo Paese e in questa terra. Tocca a noi restituirla».

Bonaccini sarà a disposizione anche a novembre 2019?

«lo sono a disposizione, ma non importa il nome. L'incarico dovrà essere dato alla persona che reputeremo migliore per vincere, non per partecipare».

• Repubblica Bologna (di Silvia Bignami)


Pronto a dare una mano al Pd in questo momento delicato, ma all’interno di una squadra. E non da frontman candidato alla segreteria nazionale. Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia Romagna e parte del team dei governatori con Luca Zingaretti e Sergio Chiamparino — quest’ultimo già in campo per il dopo Renzi — sceglie di restare nella sua regione, anche per il bis, «per metterla al riparo dalle legittime ambizioni di Lega e 5 Stelle». Ma senza dimenticare il Pd in difficoltà, che va ricostruito «con umiltà» e che deve diventare «non populista ma popolare».

Bonaccini, lei come giudica il risultato del Pd a queste politiche?

«Deludente. Siamo al minimo storico».

Intanto però a Roma si litiga, perché Renzi non si è dimesso subito. Doveva farlo?

«Renzi si è dimesso, ed è stata già convocata la direzione. Più che discutere della conferenza stampa di Renzi, vorrei si parlasse del Pd, di quale partito vogliamo, di che idea di presente e futuro abbiamo. A partire dal perché c’è uno scarto così grande tra le tante cose fatte dai nostri governi e il consenso raccolto. Oppure perché in una parte del Paese siamo praticamente scomparsi. A me è chiara una cosa: serve un Pd più inclusivo, presente. Meno social e più presenza vera tra le persone. Non sarà banale ripartire, e sono possibili altri rovesci, ma bisogna rilanciare il Pd. Mi hanno scritto e chiamato molte persone oggi per tornare a iscriversi. Se ritroviamo umiltà e apertura, troveremo più persone di quelle che crediamo».

Potrebbe guidarlo lei questo partito?
«Io ho già una responsabilità molto importante e di cui sono onorato. Guido una regione tra le più innovative e attrattive. E che dobbiamo mettere al riparo dalle ambizioni, legittime, dei nostri avversari. Ci sono per dare una mano al Pd nazionale se mi verrà chiesto, in una squadra».

Chi potrebbe allora guidarlo il Pd? Zingaretti? Delrio?

«Sono nomi di qualità. E per fortuna ne abbiamo altri, perché non ci mancano le personalità. Ma ripeto: prima dei nomi e cognomi, parliamo di contenuti. E di come coinvolgere e parlare ai giovani, che sempre di più guardano altrove. Oppure di come recuperare un rapporto col mondo del lavoro».

Secondo lei bisogna trattare coi 5 Stelle? Michele Emiliano dice di sì, e anche Chiamparino non chiude.
«Il verdetto delle urne è stato chiaro e coloro che hanno vinto devono provare a governare. Il verdetto è stato chiaro anche per il Pd, che le elezioni le ha perse. E chi perde le elezioni è chiamato a fare opposizione, seria ma responsabile, senza fare sconti, controllando l’azione di governo e avanzando proposte. Io la penso così, ma ne discuteremo. La fase di formazione del governo poi è in capo a Mattarella, di cui ho la massima fiducia».

Anche l’Emilia Romagna è andata male. Pensa che il segretario Paolo Calvano debba dimettersi?

«No, penso che Calvano debba restare al suo posto e se possibile raddoppiare gli sforzi per rigerenerare il partito. Dopodiché con una percentuale nazionale del 18% non potevamo sperare in un gran risultato solo qui. Da tempo dico che nulla è più scontato. Siamo al nord, la Lega ha il vento in poppa, e col tripolarismo e un M5S molto forte rischiamo di farci molto male alle prossime amministrative, dove c’è il doppio turno e gli altri possono saldarsi contro di noi».

Questa situazione può far male anche alle regionali 2019. Lei si candiderà per il bis?
«Io sono a disposizione, convinto che il tanto che abbiamo seminato, per contenuti e metodo, coinvolgendo le forze sociali, ci permetterà di raccogliere frutti. Sapendo che non ci sono rendite di posizione, tantomeno per noi. E che va irrobustito un centrosinistra che comunque qui ha dimostrato di essere capace di governare assieme per tanti anni, allargando anche al civismo che non s’arrende ai populismi. Dopodiché, chi sarà il candidato migliore per guidare la regione lo si sceglierà insieme. Se si ritene io possa essere utile, ovviamente ci sarò. E ovviamente per vincere, non per partecipare. Dunque, se fossi in Lega e 5Stelle sarei prudente a cantare vittoria».

Anche Leu è andata male. Bisogna riunirsi coi fuoriusciti?

«Non ho compreso la rottura, pur rispettandola. E credo siano loro i primi, oggi, a rendersi conto che non ha pagato. Siamo più deboli noi e sono debolissimi loro. Ognuno sceglierà cosa fare. Di certo dobbiamo costruire un campo nuovo e ci sarà spazio per chi ha voglia ricostruire una sinistra di governo e non di protesta».

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