sabato 7 ottobre 2017

10anniPD / Il PD costruisca se stesso e la propria identità di partito riformatore

Il nuovo PD è nato. E ora è davanti a un bivio storico

Biagio De Giovanni (Democratica, 6 ottobre 2017)

1. Parlare del Partito Democratico proiettando la sua immagine nei prossimi dieci anni implica inserirlo nel difficile tema del destino politico dell’Italia in Europa. Un partito non è solo “programma”, anzi è soprattutto un’entità storico-politica che deve fare i conti con il corso dei tempi e con una capacità di previsione. È tanto più necessario assumere il tema nella dimensione accennata, quanto più convinto che se si continua a ragionare nei confini dei recinti nazionali, si perde il punto di prospettiva da cui pensare se stessi e il mondo, e se stessi nel mondo. E peraltro la lotta in Italia è contro i populismi, qui più forti che altrove.


2. Ho sempre pensato che la nascita del vecchio PD somigliasse a quella di un parto mal riuscito. Mi pareva che si fossero messi insieme i resti di due culture esaurite, una, quella derivata dal PCI, sconfitta dalla grande storia, l’altra, quella democristiana, esaurita per essere almeno in parte ritagliata su un nemico che non esisteva più, nonché per naturale consunzione, dopo un cinquantennio circa di quasi ininterrotto governo: ambedue rifiutavano di fare i conti con se stessi e ne veniva fuori un’entità certo anche capace di governo, ma inadatta a stabilire per davvero una nuova entità politico-culturale: insomma, si capisce che non sono un nostalgico dell’Ulivo.

3. Quasi nessuno dei personaggi che avevano tenuto banco nei decenni precedenti aveva voluto abbandonare il campo e magari guidare un cambio di generazione che è un elemento decisivo del rinnovamento di una politica, altrimenti lo sguardo è sempre rivolto all’indietro. L’immagine data fu più quella di un trasloco con masserizie di casa che l’altra di una nuova nascita. Da tempo la mia tesi è che il 1989, con la caduta dell’URSS, ha segnato la fine della storia della grande sinistra italiana per come essa aveva pensato l’Italia e il mondo.

4. Il primo taglio netto con la vecchia storia esaurita è stato quello dato, con forbice appuntita, da Matteo Renzi. Non mi appresto a nessuna apologia, ma la scossa è venuta da lì, e o da lì si riparte o si entra in confusione. Il nuovo PD nasce lì per la prima volta, e mi pare che il suo destino sia legato alla possibilità di dar corpo a quella svolta o di annegare tra le macerie non digerite del passato: tertium non datur. Si delineò, allora, una energia costituente vincente che iniziò a ricercare lo spazio che doveva occupare un partito moderno, agile, capace di decidere su temi difficili (art. 18 ambiguo emblema della “sinistra”, reinterpretazione demitizzata del mercato del lavoro e della Costituzione, messa in angolo della vecchia concertazione, diritti civili etc), collocato in una prospettiva che, per tradizione lessicale, chiamiamo di centro-sinistra e che fu definito da Renzi “Partito della nazione” per indicare un partito capace di fornire una rappresentazione dell'Italia nel complicato orizzonte europeo che non è affatto dato, ma si costruisce nella tesa dialettica tra stati e nazioni e mai come ora pone questioni di tipo ultimativo. Non mi infilo nel discorso se sinistra e destra siano parole che hanno ancora un senso. Ma so che poggiare tutto su questo classico contrasto storico finisce con il costituire un paraocchi ideologico che conduce in un vicolo cieco. Il tessuto del nuovo PD non poteva essere né quello nostalgico e residuale di un PCI senza il PCI né quello di una, per la prima volta, costituenda socialdemocrazia italiana, come se la storia fosse ferma al palo, in attesa di un evento che magari – ma non è affatto detto - doveva avvenire molti lustri prima. La storia d’Italia era andata diversamente e d’altra parte dappertutto in Europa la vecchia socialdemocrazia mostrava e mostra la corda, e in vari modi va verso inarrestabile declino.

5. I nemici sono annidati dappertutto, anche a “sinistra” e bisognerà distinguere in quel mondo. In molti casi linguaggi opposti, vedute opposte sulla funzione del partito, diverse visioni delle riforme necessarie. Il PD è il PD, un partito che combatte la sua battaglia con una veduta che deve diventare sempre più chiara sul destino dell’Italia. E’ il punto di equilibrio democratico contro i populismi. E’ diventata così anomala l’idea della collocazione autonoma di un partito che per di più è nato su un distacco radicale dal passato? Chi ha paura di questa autonomia? Chi non ha la forza di portare avanti la sua battaglia, vincente o perdente che possa essere. E peraltro la condizione per vincere è farla. E se si perde, la battaglia continua, alla condizione di elaborare una cultura politica, questo per davvero tema del prossimo decennio.

6. Qui si annidano veri nemici. I Cinquestelle, un caso di vera patologia della democrazia, un qualunquismo populistico ancor più pericoloso di quello salviniano che almeno ha il dono della chiarezza. L’ircocervo di Grillo, che dice e disdice, è il vero avversario da battere e forse serviranno anni e non dovranno esservi cedimenti o inseguimenti. In questo quadro il PD deve costruire se stesso, la propria identità di partito riformatore. A difesa di una democrazia rappresentativa da rinnovare, non da rigettare con il nuovo elitismo autocratico della rete. Nel quadro di un sistema europeo che, a vista d’uomo, sarà governato dai grandi Stati (ritorna la Francia) e dove la questione non è combattere la Germania senza la quale l’Europa non esiste, ma costringerla a un ruolo “europeo” e l’Italia può molto in questa direzione.

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