venerdì 6 gennaio 2017

Le due visioni di sinistra all’interno del PD

di Riccardo Nocentini (l’Unità, 2 gennaio 2017)

Da una parte l’idea di un partito liberal socialista dall’altra un pensiero social democratico

Il documento di D’Alema su Italianieuropei uscito il 31 dicembre (fondamenti per un programma della sinistra in Europa) e di Bersani del 29 dicembre su ilcampodelleidee.it, rappresentano un possibile terreno  di confronto.
Al di là delle etichette sull’azione politica degli ultimi 3 anni, Bersani parla di blairismo mal riuscito e di “populismo a bassa intensità”, D’Alema  di “ideologia della governabilità”, si evidenzia una diversa direzione da intraprendere.
Nel PD sono in campo due idee che si possono confrontare in maniera dialettica, oppure escludere a vicenda. Da una parte l’idea di un partito liberal socialista che pone il cambiamento e la lotta alle rendite di posizione come principio di partenza, dall’altra un pensiero social democratico che riporta al centro non il cambiamento ma, per usare il termine di Bersani, la “protezione” in termini di lavoro e  welfare. In entrambe le direzioni vengono comunque considerati strategici gli investimenti per far ripartire la crescita economica.
Allora, su questo aspetto, ci dobbiamo intendere. Al di là cosa si preferisca, parlare il linguaggio del pessimismo cosmico oppure quello dell’ottimismo ad ogni costo, entrambi hanno dei limiti. Il pessimismo crea rassegnazione, l’ottimismo, se non supportato da fatti concreti anche di breve termine, rischia di venire percepito come illusorio e quindi, allo stesso modo, deludente. Pessimismo e ottimismo sono due facce della stessa medaglia, se mal utilizzati, possono essere invece complementari, come nella nota citazione di Gramsci “pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà”, se hanno un medesimo faro: la fiducia.
L’economia si basa sulla fiducia reciproca, tra imprese e mercato, tra imprese e stato, tra stato e mercato, e tra i cittadini e tutti gli attori economici e istituzionali. Come creare fiducia per far ripartire l’economia del paese? Questa è la domanda alla quale dobbiamo dare risposta per elaborare una nuova linea politico programmatica in campo economico.
Non dobbiamo essere ossessionati dall’economia, ma dobbiamo capirla meglio. Certi numeri che rientrano tra i parametri europei, come il rapporto del 3% tra deficit e prodotto interno lordo, rischiano di essere dei feticci perché non dicono nulla su quello che sta dietro, sulle ragioni profonde che stanno alla base. Il problema dell’Italia è che, nonostante i miglioramenti in atto a partire dal 2015, dietro ai numeri della nostra economia per tantissimi anni è mancata una strategia.
Se non c’è una crescita significativa il deficit aumenta in maniera automatica per il costo della cassa integrazione, per la riduzione degli introiti fiscali oltre che per gli interessi sul debito accumulato negli anni. Quindi quello su cui ci dobbiamo concentrare è la crescita.
Le condizioni della crescita dipendono in buona parte, da una burocrazia snella, da un mercato del lavoro con maggiori opportunità, da una minore corruzione, ma anche dalla qualità degli investimenti pubblici e privati volti all’incremento di una produttività di lungo periodo. La questione di oggi non è il costo del lavoro, ma come renderlo più produttivo, quindi anche più efficiente attraverso una formazione all’avanguardia, tecnologie avanzate e un rapporto cooperativo tra impresa e lavoro.
Insomma l’aspetto fondamentale riguarda gli “investimenti strategici” e per farli è necessario prima di tutto un orientamento culturale che faccia da sfondo, sul quale costruire una visione del futuro con una solida e creativa progettualità. Questa è la vera sfida e le variabili di lungo periodo che permettono di crescere sono il capitale umano (conoscenza, innovazione, istruzione, formazione) e il capitale sociale (senso di comunità e dello stato).
Su questo sfondo il PD deve ripensare le policies, quindi una politica che parta dai contenuti delle politiche, per allargare i consensi e definire una nuova linea politico culturale e programmatica, che non sia solo una somma di policies, ma, un punto di vista sulla storia della nazione, contemporaneo e plurale. E dovrà scegliere se essere una sinistra di cambiamento o di “protezione”, oppure la sintesi dialettica dell’una e dell’altra

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