domenica 23 ottobre 2016

Cuperlo: “Mi impegnerò fino in fondo, ma ognuno nega le ragioni dell’altro”

Intervista di Sergio Staino a Gianni Cuperlo (l'Unità, 22 ottobre 2016)

Il deputato PD al direttore dell’Unità: “Ho chiesto io di far parte della commissione per la modifica della legge elettorale. Il partito? Renzi ha la maggiore responsabilità. Sento toni sbagliati anche da chi polemizza con lui. Un errore alimentare incendi”

Caro Gianni, ti confesso che quando ho letto l’intervista a Bersani e, ancor più, quella a Fornaro, mi sei subito venuto in mente. Sbaglio o è un passaggio che segnala un salto di qualità in questo scontro tra la sinistra Dem e il nostro segretario?In pratica una specie di sconfessione verso la tua partecipazione alla commissione di studio sulla legge elettorale. O no?
«Capisco perché lo dici ma spero di no, e non per me ma perché quel tentativo lo abbiamo condiviso. Però c’èqualcosa che travalica la cronaca di giornata, i titoli di giornale o le singole battute. Sai cosa mi impressiona di più in questo passaggio? Il clima, il linguaggio, la totale incomunicabilità che cogli nella negazione delle ragioni dell’altro, anche quando le ritieni sbagliate. E credimi, non ne faccio una questione di garbo o bon ton. Credo sia oggi tra le questioni di sostanza perché incide la carne e lascia tracce, cicatrici, che solo un tempo lungo può rimarginare».

Sì, capisco molto bene quello che dici, anche perché molti di noi, diciamo un po’ quelli come te e me che hanno dentro sé una strana vocazione a fare il pompiere, ne buscano spesso dalle due parti. Qualcuno però potrebbe dire che è giusto e che in fondo non è la prima volta che questi scontri così forti avvengono nel nostro Partito, no? Intendo partito come arco completo, dal PCI ai DS.
«Guarda, l’altra sera ho discusso con Occhetto del suo ultimo libro e Achille ha descritto la difficoltà politica degli ultimi due anni di vita di Berlinguer. Ha ricordato la durezza dello scontro dentro una direzione che nei fatti aveva messo il segretario – parlo di “quel” segretario – in minoranza. Tu mi dirai, altri tempi e hai ragione. Ma quella durezza, quelle differenze di giudizio e persino di strategia non impedirono a un gruppo di personalità di affrontare una stagione che non era meno complicata di oggi. Perché alla fine una classe dirigente è questo, è cultura, rispetto. Anche scontro aspro, ma non puoi spingere quello scontro sino a denigrare il tuo interlocutore perché facendolo finisci col denigrare un po’ anche te stesso».

A parziale attenuante di chi nella sinistra Dem utilizza certe considerazioni per me, ti confesso, oltre che sbagliate incomprensibili, c’è anche l’atteggiamento non sempre persuasivo del Segretario. Al contrario, in certi momenti sembra che cerchi lui stesso lo scontro per lo scontro…
«Penso da sempre che chi è alla testa abbia le responsabilità più grandi. Se stai al timone devi farti carico di quelli che sono a bordo e se lavori per buttarne a mare una parte non sei un buon comandante. Renzi è una personalità forte. Ha scalato il potere con un intuito e una velocità che hanno stupito. Ha risorse che nessuno può negare ma oggi si dimentica che è soprattutto a capo di una comunità più ampia della Leopolda. Avrebbe la responsabilità di indicare la rotta per il dopo e sa che per tanti di noi quella rotta non può che fondarsi su un centrosinistra di governo, ancorato ai principi che questa forza hanno fatto nascere. L’alternativa non è quel partito della Nazione che le urne hanno già sconfessato. Al punto in cui siamo l’alternativa è una frattura sull’identità del Pd perché se l’approdo fosse un partito piazzato al centro che attrae pezzi della destra promettendo di relegare la sinistra in cantina verrebbe meno la nostra ragion d’essere».

Sì, questo è un sospetto sufficientemente motivato. C’è da dire però, per mettere tutta la carne al fuoco, che altrettanto spesso Renzi mostra un entusiasmo e una simpatia verso la sinistra che sono quasi commoventi ma che contrastano fortemente con altre uscite. Insomma, colpi bassi ci sono da una parte e dall’altra ma queste dichiarazioni di due esponenti importanti della sinistra Dem mi sembra vadano un po’ oltre, no?
«Certo che ascolto toni e parole sbagliate anche da alcuni che con le scelte di Renzi polemizzano. Ma vedi, penso che contino molto i luoghi e i momenti. Io la mia sfida al congresso l’ho persa e l’ho riconosciuto un istante dopo. Le correnti che mi avevano sostenuto si sono riprese la propria autonomia e noi siamo ripartiti daccapo, senza potere né ruoli. Con la sola forza di qualche idea e la passione di volerla difendere. Mutuando Flaiano potrei dirti che la mia riconoscenza per quelli con i quali ho condiviso questi anni è infinita perché hanno scelto di salire sul carro di chi non aveva vinto e in quella scelta avevano qualcosa da rimetterci. Poi, è capitato anche a me di criticare il premier. L’ho fatto dalla tribuna della direzione, con quello streaming che mi sarei volentieri risparmiato perché un gruppo dirigente deve anche poter discutere in libertà senza pensare che si parla prima di tutto a telecamere e giornalisti».

Sembra quasi un rammarico nostalgico verso le riunioni del comitato centrale a porte chiuse. Ricordo che tra Napolitano e Ingrao all’epoca c’erano sicuramente differenze più grandi di quelle che possono esserci tra te e Renzi eppure, fuori da quelle stanze, ben pochi ne erano a conoscenza. Comunque il fatto della diretta in streaming non mi sembra ti abbia condizionato più di tanto…
«In quelle direzioni forse ho mosso a Renzi le critiche più dirette. Ho parlato in modo schietto della sua autorevolezza, ho criticato alcune scelte a partire dal jobs act, dalla buona scuola o dalla mancata scossa all’economia e di un tagliando per una classe dirigente che in troppi casi non si è mostrata all’altezza. E qualche dato oggi conferma quelle preoccupazioni e ragioni. Se lo avessi davanti adesso gli direi che sono sbagliate le sue accuse a Visco, fosse solo perché da lui sono venute le migliori proposte che questo governo ha realizzato per un recupero serio di gettito. Ma con la stessa sincerità ho apprezzato altre cose. Il coraggio sulle unioni civili, sul dopo di noi, la legge sullo spreco alimentare e la coerenza su diritti umani e migranti o la voce forte con l’Europa sulla crescita. Ma anche per questo ti dico che se ci fosse stata maggiore capacità di ascoltare le critiche forse avremmo conservato una quota del consenso che abbiamo perduto tra gli insegnanti, i precari, o quei lavoratori iscritti alla Cgil ai quali, se guidi la sinistra, non puoi dire che Marchionne ha fatto per loro più di tutti i sindacati messi assieme. Perché se lo dici li perdi. E se vuole vincere, questo la sinistra non se lo può permettere».

Sì, non posso che essere d’accordo, sono affermazioni propagandistiche nei confronti della destra ma alla fine inutili alla nostra crescita. Non pensi però che siano anche motivate da un atteggiamento troppo pregiudiziale della CGIL e di tutti quegli organismi che una volta chiamavamo “di massa”? Capisco lo sconforto della CGIL sugli apprezzamenti verso Marchionne ma anche loro si muovono su un terreno politico come se invece di un organismo unitario fossero un partito politico. Non trovi?
«Credo che il sindacato abbia ben chiaro il tema del suo rinnovamento che dipende in gran parte da come è cambiato il lavoro, il suo ruolo sociale, la stessa centralità che ha avuto nella vita delle persone. La sfida per la Cgil non è farsi meno sindacato e più partito ma capire cosa vuol dire essere sindacato in un mondo segnato da una svalutazione del lavoro. Però, vedi, il compito della sinistra politica dovrebbe essere sempre quello di mediare tra interessi diversi e non per evitare le scelte ma per coinvolgere la parte migliore del paese nelle riforme. Trentin firma l’accordo sulla politica dei redditi e si dimette, ma a parte che viene confermato a gran voce quella è la prova che se coinvolgi le grandi organizzazioni sociali nelle responsabilità ne trae beneficio anche il governo. E d’altra parte l’Italia è cresciuta di più quando a guidarla sono state forze e figure depositarie di questa cultura, da Giolitti al primo centrosinistra fino a Ciampi e all’Ulivo di Prodi. Siamo cresciuti meno e peggio con Crispi, la destra reazionaria o Berlusconi. Qualcosa la storia dovrà pur insegnare, soprattutto in una stagione come questa segnata da una ripresa che stenta e da una povertà che per la prima volta da moltissimi anni colpisce soprattutto i più giovani. Ma quelle tabelle della Caritas che ce lo spiegano non sono statistiche: sono una condanna morale a cui la sinistra deve ribellarsi».

Comunque, tornando alle polemiche sulla tua presenza dentro questa commissione, è evidente che ti fanno molte critiche per aver accettato di partecipare…
«Vedi, io non ho accettato di entrare in quella commissione. Ti confesso che ho chiesto io di entrarci perché credo giusto farmi carico di una necessità che non è strappare un premio di consolazione per le minoranze. Non possiamo ridurre tutto a caricatura. Io penso che un accordo alto su una nuova legge elettorale serva a non ridurre la rappresentanza del Paese e gli spazi di partecipazione. Quel comitato è un tentativo in questo senso e io mi impegno fino in fondo e con lealtà perché abbiamo il dovere di rispondere a una convinzione diffusa tra tanti che voteranno Sì come tra molti che hanno scelto il No. E la convinzione è che per tutti esiste il giorno dopo e avendo una sola camera a votare la fiducia ma rimanendo in capo al Senato competenze rilevanti serve una legittimazione diretta e forte di deputati e senatori. È di questo che voglio farmi carico. Trovare regole più condivise per rafforzare un tassello della nostra democrazia. Poi è evidente che per riuscirci serve una volontà politica che deve venire in primo luogo da chi guida il Paese e oggi è anche segretario del Pd».

Trovare regole più condivise mi sembra un obbiettivo saggio e condivisibile però a volte si ha l’impressione che la sinistra meni un po’ il can per l’aia. Che lo faccia Renzi siamo un po’ abituati ma che lo facciano persone come Bersani o Migliavacca mi colpisce molto. Sono sempre stati dei sani compagni con i piedi per terra e con tanto buon pragmatismo. Adesso invece mi sembri solo tu tra loro a credere a una possibilità di accorciare le distanze.
«Lasciamo da parte i nomi. Il punto per me è che quando dico “riduciamo le distanze” non penso al ceto politico. Stiamo parlando della Carta fondamentale, della bibbia laica della Repubblica. Lo ha scritto bene Reichlin giorni fa sul tuo giornale, il pericolo è che la Costituzione non sia più percepita come la “casa” di tutti, ma questo sì sarebbe uno sbrego storico. Poi certo voglio accorciare le distanze nel Pd e chiedo tempi brevi anche per rispetto dei nostri elettori».

Ma questo tuo lavoro non credo che sia fatto pensando solo alla riforma Boschi e al cosiddetto combinato con l’Italicum, ha ambizioni più larghe che riguardano il partito.
«Penso che questa strada possa ridurre le differenze anche nel centro sinistra. Per me è inaccettabile, te l’ho detto, andare al voto con la maggioranza attuale. Voglio tornare a un centrosinistra e un centrodestra alternativi. In questo Milano è un modello vincente per la città e in generale per la politica».

E le divisioni?
«Intendi le divisioni nella sinistra interna? Io sto a quello che ognuno di noi ha sostenuto perché poi in politica conta questo. Certo, posso provare una punta di amarezza nel vedere che mentre si sta cercando di percorrere un sentiero strettissimo c’è chi – per – ché convinto del Sì o del No – alimenta il fuoco anziché spegnerlo. Ma capisco tutto anche se poi, alla fine, ciascuno di noi in coscienza è chiamato a rispondere delle sue convinzioni. E io sono convinto che una lacerazione ancora più grande dentro la sinistra e dentro il Pd rischia di compromettere seriamente le prospettive del domani».

Però ti rendi conto che ci sono alcune personalità che si muovono come se la divisione fosse già compiuta? E non mi riferisco al solo D’Alema.
«Ma vedi per uno che ha la mia formazione, la scelta di tante personalità di valore, da Onida a Smuraglia, la posizione della CGIL, dell’ANPI, di tanti nostri elettori mi mette di fronte a domande serie e a una divisione che si è già consumata. Penso che non si è fatto quel che sarebbe stato giusto fare per evitarla. Ma insisto, anche se tutto sembra spingere nella direzione opposta, questo dovrebbe essere il momento in cui un gruppo dirigente fa una scelta e un investimento. Leggo che alcuni non credono agli impegni sulla carta a cambiare la legge. Io voglio credere che se un impegno venisse preso, poi quella volontà verrebbe rispettata. Se non credessi più alla lealtà tra noi me ne andrei altrove».

Che bella cosa che hai detto. La lealtà e la sincerità tra compagni è una cosa imprescindibile dall’essere di sinistra. Però c’è molto da riguadagnare anche su questo terreno.
«Se provo a farmi carico del problema è perché chiunque vinca, il giorno dopo quei nodi se li troverà sul tavolo a partire da un Paese lacerato e da regole meno condivise. Anche per questo avrei preferito un referendum su più quesiti che aiutassero i cittadini a comprendere veramente il merito. La mia critica alla riforma è che non si è avuto il coraggio che serviva. È mancato l’ascolto quando abbiamo proposto il modello più simile al Bundesrat tedesco o quando abbiamo chiesto di prevedere nel nuovo Senato i governatori delle Regioni. Certo che in tutta questa vicenda 5Stelle e la destra hanno colpe enormi ma quell’Aula mezza vuota che vota la Costituzione per me rimane una ferita».

Sì, però poi l’avete votata, a me è sembrato un atteggiamento giusto: nel partito abbiamo sempre agito secondo quel che è stato deciso a maggioranza.
«Lascia che te lo dica così, non vorrei che il racconto della riforma si rivelasse peggiore del suo contenuto. Te lo dico perché trovo sbagliato che si motivi la revisione di un terzo della Costituzione col problema dei costi o imputando alla navetta le colpe per ritardi cumulati negli anni perché è come dire che hai perso la partita per colpa del pallone. Vedi Sergio, quel manifesto del PD che invita a votare “Sì” per tagliare i politici forse farà guadagnare qualche voto ma al prezzo di un’offesa a decenni di cultura politica e costituzionale della sinistra. Se l’Italia soffre questa crisi più degli altri è a causa di uno Stato lesionato e di politiche che hanno bloccato lo sviluppo tutelando rendite e interessi di pochi. Ma ricchezza privata e miseria pubblica non fanno una nazione più forte. Casomai è vero l’opposto ».

Posso dirti da compagno, non da intervistatore, che hai perfettamente ragione? Quel manifesto è una cosa “orribile”. Rincorrere i grillini sul loro sporco terreno è quanto di più nefasto si possa fare.
«La realtà è che siamo davanti a una crisi profonda delle democrazie. Con urne sempre più deserte perché milioni di persone hanno perso fiducia nella loro sovranità, il che è all’origine della rivolta popolare contro il potere nelle sue espressioni più diverse. Se non vediamo questo non capiamo Trump e neppure i muri che tornano a rialzarsi nel cuore dell’Europa. Allora è giusto porsi il tema della stabilità e della forza di chi governa, ma dico attenzione perché il rischio è darsi regole che alimentano governi numericamente forti ma politicamente fragili perché senza un consenso ampio nella società. Dovrebbe essere questo il cruccio che non ci fa dormire la notte e la radice di un pensiero nuovo e persino eretico della sinistra».

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