martedì 20 settembre 2016

Renzi: «Un fallimento l’austerity europea. Gli altri violano le regole»

di Maria Teresa Meli (Il Corriere della Sera, 18 settembre 2016)

Il premier: «Noi salviamo gli immigrati mentre l’Europa fa i convegni». E sul referendum: «Non riguarda il mio futuro. Pronti a cambiare l’Italicum»
 
Matteo Renzi, che è successo al vertice di Bratislava?
«Nessuna rissa, semplicemente un’occasione persa. Bratislava doveva essere la svolta, e invece è stata l’ennesima riunione finita a discutere le virgole di un documento che dice tutto e non dice nulla. Dopo Brexit l’Europa deve reagire, non tergiversare».

Nessuno si aspettava però un attacco italiano così duro.
«Ho parlato duro quando nel documento presentato non ho trovato una riga su Africa e immigrazione, né una riga su crescita e Europa sociale. Per rilanciare dobbiamo cambiare la direzione dell’Europa, non cambiare il palazzo del summit. Si finge di non vedere che la questione migratoria non si esaurisce nell’accordo, tutto da verificare, con la Turchia. E bisogna riconoscere che l’austerity europea ha fallito mentre la politica americana di investimenti ha portato l’amministrazione Obama al record di posti di lavoro. Non è un attacco, ma solo la realtà dei fatti».


Dica la verità: si è risentito perché Merkel e Hollande non l’hanno invitata alla conferenza stampa.
«La prego, siamo seri: questa è l’Europa, non l’asilo. Non ho nessun problema con Merkel e Hollande. Ho incontrato il presidente francese alla fine e ci siamo salutati con la consueta amicizia. Ma io non faccio la bella statuina, aderendo a decisioni che non decidono nulla. Se vogliamo fare le cose serie, l’Italia c’è. Se vogliamo passare i pomeriggi a scrivere documenti senza anima e senza orizzonte, possono fare anche da soli. Fare conferenze stampa in cui non si dice nulla non è il sogno della mia vita. E fingere di essere d’accordo quando non lo si è non è serio».
Berlino dice che alla fine anche lei ha approvato l’agenda e richiama lo spirito di Bratislava.
«È finita come finisce sempre. Qualcuno pone questioni di merito, serie. E altri rispondono con il maquillage dei documenti, con le modifiche degli sherpa, con le virgole cambiate. E in nome dell’unità chiedono di dire fuori che siamo tutti d’accordo. Non so a cosa si riferisca la cancelliera Merkel quando parla di spirito di Bratislava. Se continua così più che lo spirito di Bratislava discuteremo del fantasma dell’Europa. A Bratislava abbiamo fatto una bella crociera sul Danubio, tutti insieme. Ma io speravo di rispondere alla crisi provocata dalla Brexit, non solo di farmi un giro in barca».

Qualcuno dice che lei sta facendo tutto questo per la legge di Stabilità.

«La legge di bilancio italiana è pronta. Onora le regole europee, il deficit scende ancora, rispetta i parametri del fiscal compact che il Parlamento precedente ha votato su indicazioni di Brunetta e Fassina, responsabili economici dei partiti di allora. Dunque la nostra non è una tattica per strappare qualche decimale in più di flessibilità: noi rispetteremo le regole. E come le stesse regole prevedono, scomputeremo dal patto gli eventi eccezionali, legati al piano di prevenzione post-terremoto «Casa Italia» e all’immigrazione che l’Europa non riesce a gestire. Dunque nessuna trattativa sulla legge di Stabilità italiana, che per il terzo anno consecutivo vedrà scendere le tasse. Sono altri che dovranno giustificarsi per il mancato rispetto delle regole».

Altri chi? A chi si riferisce?
«La Spagna ha un deficit doppio del nostro. La Francia non rispetta nemmeno Maastricht con il deficit ancora sopra il 3%. La Germania viola la regola del surplus commerciale: dovrebbe essere al 6% e invece sfiora il 9%. Nessuno chiede ai tedeschi di esportare di meno, ma hanno l’obbligo di investire di più e stiamo parlando di decine di miliardi che aiuterebbero l’intera Eurozona. Ho fatto notare questa contraddizione in modo privato prima e pubblico poi. Io non sto zitto per quieto vivere. Con me il giochino “L’Italia pensi a fare le riforme” non funziona più. Noi le riforme le abbiamo fatte, le regole sono rispettate, gli impegni sull’immigrazione ci costano in termini di consenso ma sono doverosi. E dunque ho il dovere di dire che le regole valgono per tutti. Se qualcuno vuole far tacere l’Italia ha sbagliato indirizzo, metodo e sostanza».

Cosa accadrà adesso?
«La sfida sarà marzo 2017, quando a Roma festeggeremo i 60 anni dell’Ue: come ci presentiamo davanti ai concittadini di tutto il Continente? Spiegando che l’Europa dei padri fondatori è diventato un noioso club di regole finanziarie e algoritmi tecnici? O restituendo un’anima alla visione europea? Li ho portati a Ventotene per costruire un percorso, non per vedere il panorama o mangiare il pesce. Tra l’altro due mesi dopo l’anniversario dei trattati ci sarà il G7 a Taormina. Iniziano dunque otto mesi decisivi per la nostra politica estera e per la credibilità delle nostre istituzioni. Voglio risultati concreti, non parate scenografiche».

Sull’immigrazione siete tornati a mani vuote?
«Sull’immigrazione per il momento l’Europa ha parlato tanto e fatto poco. Noi abbiamo fatto gli hotspot, il fotosegnalamento, i salvataggi, la lotta agli scafisti. Loro hanno messo un paio di navi nel Mediterraneo che scaricano i migranti in Sicilia: utile per fare le interviste, non per risolvere i problemi. Il giochino così non funziona. Vanno chiusi gli accordi in Africa decisi nel summit di Malta del 2015. Vanno costretti i Paesi membri a fare le ricollocazioni visto che in troppi fanno finta di niente. Vanno gestiti i rimpatri che per il momento fa l’Italia mentre l’Europa fa i convegni. Abbiamo proposto sei mesi fa il Migration Compact. Juncker lo ha ripreso nel suo discorso e gli siamo grati. Ma per il momento sono parole. L’Italia se necessario farà da sola: sappiamo come fare. Ma allora l’Europa ammetta di aver fallito e dica che gli egoismi sono più forti della politica: farebbe più bella figura. Non possiamo lasciar esplodere il problema dell’immigrazione per l’incapacità dell’Europa. Nel frattempo stiamo costruendo una nuova sede per il Consiglio europeo che costa qualche miliardo: hanno scelto i miei predecessori, non posso dire nulla. Ma proporrò di mettere davanti alla sede il barcone che l’Italia ha recuperato dal fondo del mare e che adesso è ad Augusta. Almeno tutte le volte che c’è una riunione anziché guardare solo i divani nuovi, si guarderà l’immagine di quel barcone e dello scandalo di una migrazione».

C’è anche chi dice che ha fatto quell’attacco a Bratislava per attirare gli elettori meno europeisti. È preoccupato per il referendum?
«No. Mai stato ottimista sull’esito come adesso. Nessuno parla più di “rischio democratico”, il clima è più disteso. Prima o poi inizieranno a circolare i facsimile della scheda e tutto sarà chiaro. Lì si parla di riduzione dei parlamentari, di riduzione dei costi delle regioni, di soppressione del Cnel, di superamento del bicameralismo paritario, obiettivo condiviso da tutte le coalizioni in sede di campagna elettorale, sempre. Quando si diraderà la nebbia dell’ideologia parleremo di merito e gli indecisi sceglieranno il Sì perché è l’unico modo per cambiare questo Paese. Altrimenti si resta nella palude delle bicamerali di troppi anni fa. E l’Italia torna all’instabilità. Noi stiamo andando bene: quattromila comitati, migliaia di persone che partecipano a iniziative e sottoscrizione, boom sul sito www.bastaunsi.it. L’Italia può diventare più semplice e più agile. Il futuro può finalmente trovare casa anche nel Belpaese».

Se vince il No si dimette, come aveva annunciato nel dicembre dello scorso anno ?
«Per mesi mi avete detto di non personalizzare. Ho seguito il vostro suggerimento e non parlo più di me. Questo non è un referendum sul mio futuro, ma sul futuro dell’Italia».
Avete detto che siete pronti a cambiare la legge elettorale. Che cosa significa, in concreto?
«Ritengo l’Italicum un’ottima legge elettorale: garantisce governabilità e rappresentanza. Ma non facciamo le barricate. Siamo pronti a cambiarla, qualunque sia la decisione della Consulta. La maggioranza c’è: adesso tocca alle opposizioni parlare. Devono dirci cosa propongono. Vogliono tornare ai collegi uninominali? Vogliono eliminare le preferenze? Vogliono il turno unico e non il ballottaggio? Devono tirare giù le carte loro. Noi ci siamo. Ma le opposizioni hanno qualche proposta o sanno solo dire no?».

Che ne pensa dell’ iniziativa di Parisi? Secondo lei è destinata a dare vita a un nuovo centrodestra o sarà un buco nell’acqua?
«In bocca al lupo a Parisi. Trovo alcune sue frasi esagerate e superficiali, frutto della necessità di rincorrere i suoi alleati. Ma se Parisi ce la farà mi confronterò con lui. Per il momento gli avversari sono Salvini e Di Maio. L’uno insulta la memoria di quel galantuomo che è stato Carlo Azeglio Ciampi. L’altro paragona la Repubblica italiana a una dittatura sudamericana e perde di credibilità ogni volta che apre bocca. Auguri a Parisi, ma per il momento non convince neanche i suoi. E se l’alternativa sono Salvini e Di Maio noi dobbiamo lavorare con ancora più senso di responsabilità. Perché qui è in ballo la credibilità internazionale dell’Italia, e non è poco».

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